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17 marzo 2018 6 17 /03 /marzo /2018 16:05
La mancata sintonizzazione corpo-desiderio-pensiero

La mancata sintonizzazione corpo-desiderio-pensiero:

cibo, gioco compulsivo, shopping compulsivo, sesso compulsivo …..

Dott.sa Sabrina Costantini

 

 

 

Vorrei riflettere sul fenomeno frequente eppur inosservato, della quotidiana mancanza di sintonizzazione fra desiderio, pensiero e corpo.

Per capirci, facciamo alcuni esempi. E’ quanto capita quando, nonostante siamo fisiologicamente sazi, continuiamo a riempire a dismisura la bocca, quella che inizia con la cavità orale, prosegue con lo stomaco e finisce con l’intestino.

Oppure quando nonostante la nausea ed il malessere dovuto all’influenza, desideriamo ardentemente mangiare un cibo elaborato, che il corpo non accetterebbe e non sarebbe in grado di digerire. O ancora, quando nonostante la stanchezza ci ostiniamo a protrarre un’attività fisica che non riusciremo a proseguire. Non dimentichiamo poi l’esperienza col fumo e l’alcool o altre droghe, il primo impatto spesso è spiacevole e lo è ancora di più la mattina successiva, quando al risveglio la bocca ha un sapore sgradevole, la lingua impastata, la testa confusa, il corpo gonfio e oltremodo sfinito, ma …. Si continua con l’uso e l’abuso. Vale anche per chi pratica lo sport in modo esasperato, bisognosi di un’endorfina che evita di cadere in depressione. Lo shopping compulsivo a sua volta, è il tentativo di compensare il proprio vuoto, la frustrazione, il bisogno di qualcosa di sconosciuto, con l’acquisto insensato e smodato.

Gli esempi sono veramente tanti. Sono le cosiddette addiction without drugs (Fenichel).

Il punto è che spesso siamo sfasati, fuori fase, cioè desideriamo qualcosa che non è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno in quel momento: siamo in ansia per un esame e ci mangiamo una scatola di biscotti! Il lavoro è stato stressante e ci beviamo tre drink! Che centra?

E’ evidente lo scollamento, un po’ come se il pensiero non riuscisse a tradurre lo stato emotivo, la condizione corporea e ambientale, che gli permetterebbero di fornire la giusta spiegazione.

Questo scollegamento riguarda spesso il cibo e non è un caso. La nostra è una società che ha una grande impronta orale, è molto regressivizzante (Pizzo, Massignani; Caviglia, Cecere; Costantini 2007, 2008, 2009; Barbaglia). La ritmicità incalzante della quotidianità, la velocità e quantità degli stimoli che ci bombardano continuamente soprattutto con l’avvento della TV ma ancora di più del PC, di internet e di tutti i mezzi che ne permettono il facile accesso, così come console e simili, i telefoni, la rapidità degli spostamenti (dall’auto, ai treni ad elevata velocità, al jet). Siamo invasi e bersagliati di informazioni, cibi, sostanze, parole, suoni, colori, immagini e la loro rapidità non ci offre il tempo e la giusta pausa per rispondere, siamo un po’ come bambini di pochi mesi seduti sul girello, imboccati passivamente. Arrivano tanti stimoli e ci riempiamo, senza avere il tempo di scegliere, dare un peso o di opporsi. Non si stabilisce il tempo né le condizioni per poter elaborarle e quindi integrarle nei due emisferi, che asssurgono a funzioni diverse, semplificando quello destro analogico deputato alle informazioni più di tipo grafico-simbolico, agli stimoli sonori, mentre quello sinistro più logico incentrato sulla logica e sul linguaggio. Lo stesso stimolo abbisogna di un'elaborazione da parte di entrambe gli emisferi, per poter coordinare le informazioni di tipo emotivo, somatiche, attentivo, cognitive, razionali, ecc.

Nel contempo questa scarsa sintonizzazione ha origine proprio nella primissima fase relazionale, in quella orale appunto. E’ fondamentale che la coppia madre-bambino, ma oggi si può dire la triade genitori-bambino siano sintonizzati perché ciascuna triade è unica, ciascun bambino ha un suo specifico mondo ed è organizzato in un modo tutto suo unico e irripetibile. Se la madre ma anche il padre, non sono in grado di leggere i suoi bisogni nei termini dell’oggetto, dei ritmi, della modalità, comincia a crearsi un grande scompenso e una mancata costruzione della sintonizzazione del bambino con sé stesso. Del resto come compare nella classificazione dei disturbi alimentari che hanno inizio dai primissimi mesi (Pizzo, Massignani).

Un buon maternage come esplicitato da Bion, ma anche paternage, non prevede che i genitori debbano sapere cosa fare alla nascita del loro figlio. E’ un processo di apprendimento e di reciproca conoscenza, che deve avvenire nel corso dei primi mesi. Non è necessaria la perfezione, ma sicuramente la cura, l’attenzione e la capacità di autocorrezione lo sono.

Pensiamo al neonato che piange. Di cosa avrà bisogno? Ha fame, sete, ha bisogno di essere cambiato, è stanco, ha male al pancino, è spaventato, c’è qualcosa che lo agita, ha bisogno di essere rassicurato …. ?

La risposta sempre più appropriata, in tempi sempre più brevi arriva dalla capacità progressivamente maggiore di leggere i messaggi del piccolo, unita all’osservazione di tempi, modi, ritmi, di esperienza pregressa con lui e/o con altri bambini, ecc.

Immaginiamo cosa succede se per esempio la madre, anziché tradurre il pianto in incapacità di rilassarsi e addormentarsi, lo interpreta come fame o in ogni caso, utilizza come risposta esclusiva quella del cibo e lo propina ad ogni lamento. Pensiamo ad esempio all’abitudine passata, ma ancora presente in alcuni casi, di dare il succhiotto intriso nello zucchero o nel miele ad ogni pianto. Chiaramente possiede un potente effetto tranquillizzante, ma non corrisponde alla risposta corretta legata a quel bisogno. Quante volte ad esempio si offre una caramella ad un bambino che piange?

Se guardiamo non è la risposta corretta che corrispondente al bisogno emotivo e corporeo, che invece sarebbe quella di essere tranquillizzati, cullati, compresi, ecc. Ma ancor di più, forniamo una risposta indifferenziata, qualunque sia il bisogno, qualunque la causa del pianto, offriamo sempre la stessa risposta: un riempimento orale!

Questa mancata corrispondenza se cronica, crea una grave incapacità successiva di tradurre i propri bisogni e un eccessivo attaccamento a tutto ciò che passa per la nostra bocca. Inoltre, si instaura implicitamente la profonda corrispondenza che stare bene corrisponde ad essere pieni e all’inverso vuoto significa dolore, malessere, tristezza. Ecco che non si impara a stare vuoti, se ne è spaventati e difficilmente si impara a tollerare.

Oralità che abbiamo detto, viene alimentata dalla nostra società così veloce. Pensiamo alla pubblicità per esempio, che come quei genitori, induce un bisogno ed una risposta che non corrispondono alle reali necessità o desideri. Mi vengono in mente gli slogan sui cibi, sulle merendine, sulle bibite gassate, sui cibi precotti e poi all’inverso a tutto ciò che riguarda l’immagine, come profumi, abiti, ecc.

C’è qualcuno che ci suggerisce, imboccandoci di immagini, slogan, musiche che si imprimono nell’inconscio, di quale “risposta” abbiamo bisogno (Kundel et al.; D’Amato). Ricordo infatti che ciò che arriva dallo schermo è per lo più diretto all’emisfero destro, quello analogico ed emotivo, lo stesso attivato nelle fasi iniziali della vita. L’emisfero sinistro, più logico, deputato al pensiero critico e al linguaggio viene eluso dall’effetto ipnotizzante dello schermo. Al livello evolutivo l’emisfero sinistro si sviluppa successivamente, i suoi chiari esempi li abbiamo con l’inizio del linguaggio.

Se i genitori sono capaci di conoscere il proprio figlio e di fornire la risposta appropriata ai bisogni, in termini di azioni, di atteggiamento corporeo ma anche di parole, si crea la giusta sintonia fra bisogni del corpo, desideri, pensiero e comprensione. Se di fronte ad un neonato che piange, l’adulto comprende che il bimbo è stanco ma non riesce ad addormentarsi perché per qualche motivo non è tranquillo, gli parlerà dolcemente, lo cullerà, gli dirà che lo aiuterà a rilassarsi, canterà una canzoncina semplice con un tono basso e caldo, dandogli magari la copertina, il peluche o qualunque oggetto familiare, in modo che lo si aiuti a trovare la giusta rilassatezza del corpo. Il succhiotto con lo zucchero, fornirebbe sicuramente endorfine immediate e un conseguente benessere, ma indotto da qualcosa di esterno come successivamente potrà essere dato da cioccolata, cibo eccessivo, fumo, alcool, droga, sesso in eccesso, shopping compulsivo, ecc.

E’ un circolo vizioso, il bambino non imparerà a comprendere il proprio corpo, i suoi bisogni, emozioni e desideri e l’adulto ricadrà sempre in questo meccanismo orale che si autoalimenta, con conseguenti danni a vari livelli e talvolta con sensi di colpa. Pensiamo ad esempio a chi soffre di disturbi alimentari, per altro accresciuti enormemente in quantità e diversificazione. Non c’è solo l’anoressia e la bulimia (che hanno anticipato il loro insorgere, presentandosi già a 8 anni), ma anche disturbi da alimentazione restrittiva, da rifiuto di cibo, da binge eating, obesità a vari livelli, ecc.

Spesso, i disturbi alimentari, sono accompagnati da una condotta disfunzionale solitaria, chi li adotta si vergogna, sa che sta adottando un comportamento inadatto e si nasconde. Ma non sa perché, si vergogna come se rubasse, ma in realtà la condotta non è vergognosa, ma sicuramente disfunzionale. Ed è estremamente difficile uscirne, perché è un’impronta così antica, così generalizzata, così originaria e automatica, nel senso che origina in una fase dove il pensiero razionale non era ancora sviluppato ed è stata appresa come l’unica possibile e conosciuta, da sembrare impossibile qualunque cambiamento.

Penso anche al giocatore compulsivo (Donadeo). Partendo dal caso più semplice, di chi acquista quotidianamente almeno un “gratta e vinci”, che costa “solo” 1 o 2 euro, non fa che cercare di fornire una risposta alle proprie angosce, alle necessità materiali, ai propri progetti, con un atto irrazionale. Quante reali probabilità ci sono di vincere? E quante che quella vincita, risolva veramente la vita? Quanto l’eventuale vincita o semplicemente l’ebbrezza dell’attimo del grattare, ci riempie rispetto al vuoto o placa effettivamente l’angoscia? Alla fine abbiamo valutato, quanto spendiamo al termine del mese e dell’anno?

Non c’è pensiero razionale nell’atto impulsivo e ripetitivo del gioco patologicos né degli effetti a breve, medio e lungo termine.

Anche il sesso compulsivo segue lo stesso circuito, sfociando non solo nella condotta compulsiva, che lascia esausti, vuoti e insoddisfatti, ma che conduce spesso ad alzare il tiro. Il giocatore aumenta sempre le sue scommesse, il dipendente da sesso aumenta i partner, le situazioni e i contesti, accedendo spesso a situazioni anche rischiose e talvolta non propriamente rispettose, quali la scelta di partner giovani o minorenni, pornografia, situazioni legate alla violenza, ecc.

Quando non si è capaci di sintonizzarsi e comprendere di cosa abbiamo bisogno, oltre alle condotte disfunzionali, capita poi nel corso della vita, che il corpo si ammala, fornendoci una strada (Dethlefsen, Dahlke; Hamer; Pusceddu). Pensiamo ad esempio banalmente alla persona che beve poco, mangia troppo salato o assume abitudini non appropriate, i suoi reni potrebbero produrre piccoli calcoli, che gli forniranno la via del cambiamento in stile di vita. Spesso però, leggiamo le cose in modo meccanico e immediato, apportando dei cambiamento solo momentanei e ricadiamo nel circuito.

E’ importante una visione più critica ma soprattutto più olistica, comprendere quanto siamo in sintonia nei vari aspetti di noi. Nel caso citato forse i calcoli e lo stile di vita originano da una sorta di aggressività e di voracità verso la vita, si mette dentro ciò che è salato, saporito, rifiutandoci di diluirlo, di condividerlo anche ed ecco che dentro di noi si pietrifica qualcosa che non riesce ad essere scambiato in modo fluido, come capita nel concreto alle particelle calcaree e ai sali disciolti nelle urine.

Tutte le condotte prese in esame sono contraddistinte da un impulso cieco, propagato da un emozione e/o un bisogno, senza la reale lettura della risposta appropriata!

Questi esempi ci ricordano che è importante farsi delle domande e capire se è necessario che ci sottoponiamo ad un processo di educazione all’armonizzazione, di lettura sui propri bisogni, di accrescere la sintonizzazione con noi stessi.

Sicuramente i sintomi, organici (malattie e disturbi), comportamentali (compulsioni su cibo, acquisti, sesso, ecc.), emotivi (depressione, ansia, tristezza, rabbia cronica), costituiscono sempre un segnale, una spia luminosa che ci ricorda di fare un check up e passare ad un altro livello.

Più che prevenzione si può parlare di promozione ad uno stile emotivo, relazionale, comportamentale che ci permetta di introdurre il pensiero nel quotidiano, fornendo un confine all'azione impulsiva, alla risposta stimolata dall'ambiente.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

Abraham K (1975). Ricerche sul primissimo stadio pregenitale della libido. In Opere, vol. I, Bollati Boringhieri, Torino.

Aiello A. Gli effetti dei mass media e le forme di tel e internet dipendenza. www.garito.it

     Bandura A., Ross D., Ross S. (1963). Imitation of film-mediated aggressive models. Journal of Abnormal and Social Psychology, 66, 3-11.

     Barbaglia P. Una TV da brivido. Presenza 6, Giugno-Luglio 2003, 2-8.

Caviglia G., Cecere F. (2007). I disturbi del comportamento alimentare. Carocci Faber, Roma.

Cereda A. (2010). Tracce d’Identità modificare il corpo. Costruire il genere. Franco Angeli.

Costantini  S. Dipendenze e falsi bisogni, 28/11/07, www.retenuovedipendenze.it.

            Costantini S.  Cellulare e oralità secondaria, pubblicato il 20/03/08, su www.retenuovedipendenze.it e www.vertici.com/rubriche.

Costantini S. “Il bambino e la TV: tra Tg e cartoni animati”, pubblicato varie parti, rispettivamente il 09/10/09, 19/10/09, 02/11/09, 16/11/09, 30/11/09, 21/12/09 in www.psiconline.it

            Costantini S. Cellulare e solitudine, 07/07/08, www.nienteansia.it

            Costantini S. Internet quale realtà? Pubblicato contemporaneamente sul sito www.vertici.com/rubriche e www.retenuovedipendenze.it, il 16/04/08.

D’Amato M. Le trasmissioni per i ragazzi nelle TV pubbliche e private. www.guardaingiro.it

Dethlefsen T., Dahlke R. (1986). Malattia e destino: il valore e il messaggio della malattia. Mediterranee, Roma.

Donadeo C. (2014). Gioco d'azzardo e ludopatia. Dal divertimento alla dipendenza. Auditorium ed.

Fenichel O. (1951). Trattato di Psicoanalisi. Astrolabio.

Greenberg, Mitchell (1986). Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica. Il Mulino, Bologna.

Hamer R.G. (1999). Testamento per una nuova medicina.Amici di Dirk, Edicionese de la Nueva Medicina, Spagna.

Hamer R.G. (2004). Introduzuibe alla nuova mediciana. Amici di Dirk, Edicionese de la Nueva Medicina, Spagna.

Kunkel D., Wilson B., Donnerstein E., Blumenthal E., Popper E. (1995). Measuring television violence: the importance of context. Journal of Broadcasting and Electronic Media, 39, 284-291.

Pizzo S., Massignani V. (2014). Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione in età evolutiva. Diagnosi, assessment e trattamento. Erikson, Trento.

Pusceddu M. (2013). Il corpo racconta. Psicosomatica e archetico. Persiani Ed.

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18 ottobre 2017 3 18 /10 /ottobre /2017 14:46

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29 marzo 2017 3 29 /03 /marzo /2017 07:44

 

 

 

Seminario Dinamico

 

 

 

 

 

sabato 1 Aprile 2017

 

ore 9.00-13.00

 

Contattatemi per info: sabrina.costantinips@virgilio.it

 

https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=397814920596716&id=267230520321824

 

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21 novembre 2016 1 21 /11 /novembre /2016 11:37
Sistema educativo Scuola-Famiglia-Contesto Sociale

 

Quanto capitato a questo docente nel palermitano, sicuramente creerà scompiglio e discussioni da parte di molte persone e

io mi auguro bene che capiti, ma non tanto come banco per accusare qualcuno,

piuttosto come spazio costruttivo.

Sicuramente ci sono delle responsabilità e anche pesanti,

quando si arriva alla violenza non ci si può tirare indietro nelle responsabilità,

tanto più in un atto programmato e deliberato.

 

Ovviamente non si hanno tutte le informazioni e ciò che sappiamo arriva dai mass media,

per cui ci possono essere pezzi mancanti, 

ma il fatto rimane ed è Importante!

Io mi chiedo perchè si è arrivati a tanto,

come si può accettare e pensare di compiere un atto violento.

E ... cosa si pensa di insegnare ai propri figli

se non la Violenza?

 

I temi critici che mi vengono in mente con questa vicenda sono quelli discussi ormai da tempo:

 

- l'autorità/autorevolezza degli insegnanti

- la collaborazione scuola/famiglia e viceversa

- la condivisione dell'intero contesto sociale di temi educativi

- la responsabilizzazione dei ragazzi come soggetti attivi del discorso educativo (nel bene e nel male)

- la dilatazione del tempo e dello spazio

 

Per riprenderli brevemente direi che l'educazione dei bambini e dei ragazzi è una responsabilità di tutti quanti, di tutto il contesto, familiare, scolastico, sociale, mediatico, ecc., credo che ciascuno deve prendere su sè il proprio posto,

in base a competenze, specializzazioni, ruoli ...

Segue che il dialogo, la collaborazione e il confronto sono necessari e indispensabili, nel rispetto di ciascuno.

Credo che questa operazione che appare scontata, alla fine non lo è per niente, perchè quello che capita è una continua prevaricazione dell'uno sull'altro, sovrapponendo ruoli e responsabilità, mancando di rispetto e ascolto, fino a mettere in atto azioni offensive e lesive.

Ho parlato di dilatazione dei tempi perchè credo che per il dialogo e per l'ascolto è 

necessario dedicarsi tempo e spazio e

dedicarlo agli altri, compreso la capacità di tollerare la frustrazione, il tempo e lo spazio dell'altro.

La velocità con cui tutto accade oggi ed i mezzi con cui li facciamo accadere, tolgono contatto, spazio e tempo, sovrapponendo concetti, pensieri, azioni, informazioni, esperienze, che non possono essere sufficientemente eleborati

e soppesati.

 

Credo che di riflessioni se ne possono fare tante .... e spero che ne vengano fatte ....

 

 

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9 novembre 2016 3 09 /11 /novembre /2016 14:16
Rabbia Corrosiva

Rabbia Corrosiva

 

 

 

 

La scienza e la medicina hanno compiuto grandi progressi per quanto pertiene la scoperta di sindromi, conoscenze anatomiche, farmacologico-chimiche, protesi, trapianti, ecc. Eppure la malattia persiste e possiede il grande potere di cambiar forma e direzione. Sembra non vi sia mai fine.

Il punto sta nella propensione a guardare, intervenire e curare l’aspetto esterno, senza ricercare l’origine della malattia, ciò che crea lo squilibrio nel corpo, nella psiche, nell’emotività.

E’ un po’ come se non riuscissimo a guardare l’uomo nel suo intero. Ne osserviamo solo piani isolati l’uno dall’altro (fisico, comportamentale, mentale, emotivo) e così per ciascun piano si verifica una sottoparcellizzazione, si guarda l’uomo fisico non come organismo con sistemi in interrelazione, ma come singolo organo, funzione, segmento , così via per gli altri piani.

La comprensione della multifattorialità, della metamorfosi continua della malattia nelle sue svariate facce, richiede la visione di un individuo intero, nelle sue tante capacità, come elemento-parte di un sistema più ampio, quale quello ambientale, naturale, culturale, sociale, relazionale, ecc. Occorre un continuo zoom da particolare al generale, dall’individuo all’insieme, avanti e indietro nel tempo e nello spazio.

La grande maggioranza delle università e degli istituti di ricerca americani, riconoscono allo stress la causa di circa il 90-95% delle malattie. Questo dato traduce il concetto di globalità, la visione olistica della malattia. Lo capiamo ancora meglio se guardiamo lo stress come fenomeno complesso.

Non si tratta solo del tran tran quotidiano, dello stile competitivo della nostra società, del ritmo frenetico, delle preoccupazioni, dei debiti finanziari, del buco nell’ozono, ecc., c’è ben oltre e questo oltre sta nel nostro stile emotivo e relazionale.

Quali sono le nostre convinzioni profonde su noi stessi e sul mondo?

Cosa ci aspettiamo dagli eventi?

Cosa ci aspettiamo dagli altri?

Come interagiamo con gli eventi e le persone?

 

Fin dalla nascita le esperienze che viviamo, nel corpo e nella psiche, costituiscono un imprinting fondamentale, una sorta di binario inconscio che ci aiuterà ad apprendere e ad accrescere le nostre capacità di adattamento, la via più economica per affrontare esperienze nuove, creare nuove abilità e conoscenze. Ad es. guardando i genitori camminare e cominciando a provare, nel momento in cui avrà raggiunta la maturità neurofisiologica necessaria, il bambino gradualmente apprende questa funzione così importante. A sua volta, l’acquisizione della stazione eretta gli permetterà tutta un’altra serie di sviluppi su conoscenze e capacità altrettanto importanti (guardare le cose da un’altra altezza e angolatura, spostarsi avendo le mani libere, acquisire autonomia, ecc.).

Rimanendo su questo semplice esempio, il bambino insieme alla deambulazione, imparerà anche alcune idee fondamentali su sé. Se ad esempio i genitori sono ansiosi, saranno eccessivamente preoccupati che si ferisca, che sia troppo presto, che si metta in pericolo, non gli invieranno messaggi rassicuranti e incoraggianti di cui avrebbe bisogno, bensì di preoccupazione, di svalutazione, di pericolo, probabilmente lo freneranno nel suo impulso ad esplorare le proprie capacità e l’ambiente.

La risultante?

Crescerà un bambino con paura, insicurezza, con alcune idee su sé e sul mondo. Penserà che “il mondo è pericoloso”, è meglio non avventurarsi, soprattutto per lui che è fragile ed indifeso, è meglio farsi proteggere dai propri genitori.

Chiaramente nessun singolo episodio ha il potere di generare in modo permanente tali effetti. Di solito la persona ansiosa vive questo stato in modo ripetuto e continuativo, pertanto darà messaggi ed effetti continuativi e duraturi.

Ciascuno di noi come conseguenza dell’insieme di esperienze vissute e dell’impronta fornita, struttura una serie di idee ed emozioni riguardo a sé, al modo di affrontare nuovi compiti, agli altri, alle relazioni, alle difficoltà, ecc.

E’ una sorta di impronta psico-emotiva che influenza il nostro incedere nel mondo.

A sostegno di ciò ricordiamo che lo stress agisce principalmente su tre aree del Sistema Nervoso Centrale, precisamente il lobo frontale, l’ippocampo e l’ipotalamo. Brevemente ricordiamo che il lobo frontale è un’area deputata alla presa di decisione, alla memoria, al controllo cognitivo, l’ippocampo invece, la parte più antica è ritenuta una delle sedi principali delle emozioni e del sentire impulsivo. Infine l’ipotalamo è l’area che regola le principali funzioni fisiologiche quali fame, sete, sonno, caldo-freddo, istinto sessuale, ecc., esso è connesso con tutti gli altri organi e funzioni attraverso una serie di messaggi di tipo chimico-ormonale-nervoso.

Queste tre aree, connesse fra loro e con il resto del corpo, rappresentano i tre anelli di cui stiamo parlando e attraverso cui agisce lo stress: il pensiero, l’emozione e la reattività fisiologico-comportamentale.

A riprova di ciò, è stato visto che la pressione cronica di emozioni quali la paura, verificata su vittime di violenza, finisce per modificare anche anatomicamente aree cerebrali quali l’amidgala e l’ippocampo (le aree relative all’emozione e alla loro gestione). Ancor di più, pensiamo all’effetto che le prime esperienze, se ripetute e croniche producono su bambini e neonati in via di definizione, trasformazione e sviluppo. In questo caso, la struttura anatomo-funzionale sarebbe deviata e determinata in modo molto più costruzionale e stabile.

Fra queste impronte fondamentali, la rabbia costituisce un elemento significativo e assai corrosivo. Quest’emozione così imponente, rappresenta uno degli elementi che causano stress in modo consistente. La rabbia non rappresenta solo un contenuto emotivo, ma anche una modalità relazionale ed un contenitore di pensieri e azioni.

La rabbia, ha origine dall’insoddisfazione e dalla paura, da cui il vissuto conseguente, nonché tutta una serie di strategie cognitive, comportamentali e relazionali per reagire agli stimoli (esterni o interni) e rispondere in modo “adatto”.

L’individuo arrabbiato si trova in stato di tensione continua.

Infatti la funzione naturale della paura è quella di proteggere, è un’emozione che attiva i nostri sistemi di attacco e fuga. Se però questi sistemi sono perennemente elicitati e lo sono in modo ingiustificato, nel senso che non vi sono reali pericoli, allora l’organismo in tutte le sue parti, sarà sottoposto ad un iper-lavoro inutile e dannoso, che va ad esaurire le risorse dell’individuo.

La persona si sentirà perennemente in pericolo, in allerta e nel tentativo di far fronte a tutto ciò, attiverà tutte le risorse a disposizione, compresa la rabbia che ha la capacità di potenziare i meccanismi di sopravvivenza fisiologici, cognitivi, relazionali e comportamentali, fra cui pensare di dovercela fare a tutti i costi, stringere i denti, andare avanti con qualunque strategia (utilizzando caffeina, integratori, energizzanti, farmaci, droghe, ipermovimento, ecc.), correre verso la meta, entrare in competizione, ecc.

Condotte, sicuramente utili se la posta in gioco è la sopravvivenza. Altro discorso, se non esiste un rischio di vita effettivo.

In stati di “stress autoindotto”, quest’emozione persiste nonostante non vi sia reale necessità. La persona, in modo inconsapevole e automatico (attraverso quel binario inconscio) ritiene di doversi proteggere da qualcosa che di fatto non c’è, potrebbe esserci ma non c’è!

E’ uno stile emotivo, cognitivo e relazionale, una lente con cui guardiamo il mondo, che filtra e riduce altre possibilità. Per la persona esiste solo quel sentire, quel modo di vedere, ai propri occhi è naturale e giusto che sia così.

La rabbia può avere tante sfaccettature, le più eclatanti sono l’aggressività verbale, fisica, comportamentale, ma ve ne sono più sottili e più socialmente accettate, come la competizione, il senso di rivincita o di giustizia a tutti i costi, la meticolosità eccessiva, l’intolleranza, la mancanza di gentilezza, il menefreghismo, la freddezza ed il distacco e via dicendo.

Si tratta di uno stile emotivo caratterizzato una di tensione continua, perché non ci si può fidare di niente e di nessuno, gli altri ci appariranno egoisti, menefreghisti, sfruttatori, materiali, fortunati, tutte le buone azioni possono nascondere malevoli intenzioni, tutti gli eventi positivi in qualche modo pretenderanno un conto, qualcuno o qualcosa ci danneggerà …. la vita è lotta e sofferenza…….

Può sembrare estremo, ma in verità molte più persone di quante si pensi, vivono in uno stato di solitudine e di sofferenza elevata, senza reale necessità.

Pensiamo a tutte le persone sempre attente a trovare delle pecche nel comportamento degli altri, a quelle rabbiose per ogni scorrettezza stradale, per ogni persona che li urta, o che passa loro davanti in fila, per ogni telefonata importuna, per la pioggia, per gli ingorghi stradali, per ogni minimo malanno, per un guasto all’auto, per l’influenza che gli impedisce di uscire, per le parole dette o non dette, dette con una certa a o ipotetica motivazione. Ma poi pensiamo a tutte le persone che trascorrono la vita a fare causa a chiunque possa usurpare i propri diritti, o quelli che reputano tali. A tutte le persone che non fanno o non dicono per non incorrere in eventuali effetti negativi, a chi si rivolge costantemente a maghi per farsi togliere malocchio e fatture, per conoscere il futuro o avere un responso.

Vi sono donne, uomini, ragazzi, bambini, ciascuno a proprio modo, si sente trattato ingiustamente, sfortunato, sottostimato, lasciato da parte, non ascoltato, ciascuno si macera in pensieri di grande sofferenza e di rabbia, esplosiva, corrosiva, vendicativa. Un continuo turbinio di emozioni e reazioni dannose.

Gli esempi sono infiniti, ma gli effetti analoghi. Una vita sotto costante stress e uno stato emotivo di continua allerta e rabbia. Una serie di reazioni comportamentali ed espressive diffidenti, guardinghe, rabbiose, che a loro volta portano gli altri ad aumentare sospetto e distanza, accrescendo dubbio e malessere.

Soffermiamoci su tutti i detti relativi alla rabbia: ”Diventare paonazzi dalla rabbia”, “Diventare verdi”, “Traboccare di bile”, “Rodersi il fegato” “Mangiarsi lo stomaco”, “Torcersi le mani” “Digrignare i denti”, “Mostrare i denti”, “Trafiggere con le parole”, “Trafiggere con lo sguardo”, “Impazzire di rabbia” e via via.

Queste espressioni ci suggeriscono cosa capita quando ci arrabbiamo e ci suggeriscono cosa succede a livello esterno, comportamentale, ma anche interno, a livello del corpo e della salute. Gli effetti della rabbia prolungata, creano uno stress lavorativo, ormonale e umorale, da parte di stomaco, fegato, cistifelia. A livello muscolare c’è tensione e contrazione nelle fasce relative al viso, collo, spalle e mani, producendo una mobilità ridotta, postura rigida, contratta. Il respiro è corto (solo toracico), controllato, talvolta affannoso, con un ricambio d’aria minimo, un’enorme quantità d’aria trattenuta.

Contemporaneamente a tutti gli organi sottoposti ad iper-lavoro ve ne saranno al altri dispensati, perché non vitali in situazione di emergenza, che quindi non svolgeranno il loro abituale lavoro di depurazione, scambio e rigenerazione cellulare.

Non a caso chi è cronicamente arrabbiato soffre di ulcera gastrica, di reflusso gastro-faringeo, stitichezza, colite, stanchezza cronica, cali di energia, di tensioni al collo e alle spalle, ernie varie, sofferenze cervicale, cefalee, può trovarsi a cadere e fratturarsi, rompersi o strapparsi ossa, muscoli, tendini.

La rabbia cronica rode, rode e corrode da dentro la nostra serenità, ma anche la nostra vitalità, salute, benessere e scambio. Ci chiudiamo in un mondo costituito da fantasmi risucchianti, da idee ripetitive sempre uguali a sé stesse, che hanno il potere di distorcere la realtà, di scatenare emozioni spiacevoli, in assenza di scambio e di cambiamento.

Allora vediamo bene, come quest’impronta originaria, conduce ad un circolo vizioso e ad una cronicizzazione assai dannosa per l’organismo e la salute globale. E’ importante introdurre dei cambiamenti, partendo dall’ascolto del corpo e dai messaggi immediati: ascoltare il respiro, le tensioni muscolari, osservare la postura, rispettare i propri ritmi, ecc.

E’ necessario unire anche il resto e andare a modificare le convinzioni erronee, le emozioni che hanno creato questa condizione stabile e dannosa.

La rabbia è corrosiva, corrode il corpo ma anche la mente, perché conduce ad un percorso automatico dove i pensieri seguono sempre lo stesso solco. Non vi sono cambiamenti, perché la persona gira sempre nello stesso circuito e dato che l’origine risiede proprio nel pensiero e nelle attribuzioni di significato emotivo, se non si interviene a questo livello si rischia di curare il sintomo senza andare all’origine, che rimane identica e continuerà sempre con la stessa melodia, producendo analoghi risultati.

Chi c’è dentro, non si rende conto che le cose possono essere viste e affrontate in un modo diverso, è necessario aiutare a riscoprire la libertà di scegliere e cambiare.

Nessuno è costretto a girare nello stesso meccanismo! E’ nostra la responsabilità farlo. Il mondo e noi stessi possono essere rivisti oltre quell’imprinting originario.

Del resto a nessuno mancano le esperienze che fungono da correttivo di pensiero emotivo, è necessario però darvi forza, per evitare che venga inglobato nel buco nero della rabbia, dove viene dato risalto solo a ciò che non è presente.

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3 ottobre 2016 1 03 /10 /ottobre /2016 17:59
Per il Mese di Ottobre e Novembre

 

Gratuitamente

 

 

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2 luglio 2016 6 02 /07 /luglio /2016 09:37
Storia Zen

 

Storia Zen

 

 

 

 

Un Maestro giapponese ricevette una visita da parte di un professore universitario che era andato da lui per imparare l’antica filosofia Zen.

 

Il professore cominciò a parlare dei suoi studi e delle sue esperienze.

Il Maestro servì il the. Colmò la tazza del suo ospite e poi continuò a versare.

 

Il professore guardò traboccare il the e osservò: “E’ ricolma. Non c’entra più!”

“Come questa tazza, - rispose il Mestro

 

– tu sei colmo delle tue opinioni e delle tue congetture.

Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?”

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28 aprile 2016 4 28 /04 /aprile /2016 15:55
Lo strano violinista

Lo strano violinista .........

 

 

 

Lo strano violinista

Fiaba dei fratelli Grimm 

 

 

C'era una volta uno strano violinista, che se ne andava solo solo per un bosco, e pensava a questo e a quello; e quando la sua mente non ebbe ove posarsi, disse fra sé: “Mi annoio molto qui nel bosco, voglio cercarmi un buon compagno.” Si tolse di dosso il violino e si mise a sonare, sicché il suono si diffuse fra gli alberi.

Poco dopo, ecco venire un lupo, trottando per la boscaglia. “Ah, viene un lupo! quello non lo desidero proprio,” disse il violinista. Ma il lupo si avvicinò e gli disse: “Oh, caro violinista! come suoni bene! vorrei imparare anch’io.”

- “È presto fatto,” gli rispose il violinista, “devi soltanto fare tutto quello che ti ordino.”

- “O violinista,” disse il lupo, “ti obbedirò come uno scolaro il suo maestro.” Il violinista gli ordinò di seguirlo, e, quando ebbero fatto un pezzo di strada insieme, giunsero a una vecchia quercia, che era cava internamente e spaccata nel mezzo.

“Guarda,” disse il violinista, “se vuoi imparar a sonare il violino, metti le zampe davanti in questa spaccatura.”

Il lupo obbedí, ma il violinista prese in fretta un sasso e d’un sol colpo gli conficcò le zampe nel legno cosí saldamente, che il lupo dovette starsene là prigioniero.

“Aspetta qui finché torno,” disse il violinista, e se ne andò per la sua strada.

Dopo un po’, disse di nuovo fra sé: “Mi annoio molto qui nel bosco, voglio cercarmi un altro compagno.” Prese il violino, e di nuovo si diffuse il suono nel bosco. Poco dopo, ecco venire una volpe strisciando fra gli alberi.

“Ah, viene una volpe,” disse il violinista, quella non la desidero proprio. Ma la volpe gli si accostò e disse: “Ah, caro violinista, come suoni bene! Vorrei imparare anch’io.” È presto fatto, disse il violinista: devi soltanto fare tutto quel che ti ordino. “O violinista,” rispose la volpe, “ti obbedirò come uno scolaro il suo maestro.”

- “Seguimi,” disse il violinista, e quando ebbero fatto un pezzo di strada, giunsero a un sentiero fiancheggiato da alti cespugli. Allora il violinista si fermò, da un lato del sentiero curvò fino a terra un giovane nocciolo e ne premette la cima col piede; dall’altro lato incurvò un altro alberello e disse: “Orsú, volpicina, se vuoi imparar qualcosa, porgimi una delle tue zampe davanti, la sinistra.”

La volpe obbedí ed egli le legò la zampa al fusto di sinistra. “Volpicina,” disse, “ora porgimi la destra.”

E la legò al fusto di destra. E, dopo essersi assicurato che i nodi delle corde fossero abbastanza solidi, lasciò la presa, e gli alberelli si rizzarono e lanciarono in alto la volpe, che restò sospesa in aria a sgambettare.

“Aspettami qui fìnché torno,” disse il violinista e se ne andò per la sua strada.

Di nuovo disse fra sé: “Mi annoio qui nel bosco; voglio cercarmi un altro compagno.” Prese il violino, e il suono si diffuse per il bosco.

Allora ecco venire a gran balzi un leprotto. “Ah, viene una lepre!” disse il violinista, “questa non la volevo.”

- “Ah, caro violinista,” disse il leprotto, “come suoni bene! vorrei imparare anch’io.” - “È presto fatto,” disse il violinista, “devi soltanto fare tutto quel che ti ordino.”

- “O violinista,” disse il leprotto, “ti obbedirò come uno scolaro il suo maestro.” Fecero un pezzo di strada insieme, finché giunsero a una radura nel bosco, dove c’era una tremula. Il violinista legò un lungo spago al collo del leprotto e ne annodò l’altro capo all’albero.

“Svelto, leprottino, ora salta venti volte intorno all’albero!” esclamò il violinista, e il leprotto obbedi, e quando ebbe fatto i suoi venti giri, lo spago si era attorto venti volte intorno al tronco; e il leprotto era prigioniero, e aveva un bel tirare e dar strattoni: si tagliava soltanto il collo delicato con lo spago.

“Aspetta qui finché torno,” disse il violinista e proseguí.


Intanto il lupo aveva dato spinte e strattoni, aveva morso la pietra e si era tanto adoprato, che alla fine si era liberato tirando fuori le zampe dalla spaccatura. Pieno di collera e di rabbia, corse dietro al violinista e voleva sbranarlo. Quando la volpe lo vide, cominciò a lamentarsi e gridò con tutte le sue forze: “Fratello lupo, vieni ad aiutarmi: il violinista mi ha ingannata.”

Il lupo curvò gli alberelli, con un morso spezzò le funi e liberò la volpe, che lo accompagnò, per vendicarsi del violinista. Trovarono il leprotto legato, liberarono anche lui, e poi tutti insieme andarono in cerca del loro nemico.

Per la strada il violinista aveva ripreso a sonare, e questa volta era stato piú fortunato. I suoni giunsero all’orecchio di un povero boscaiolo, che subito, lo volesse o no, interruppe il suo lavoro e con l’ascia sotto il braccio si avvicinò per sentire la musica.

“Finalmente viene il compagno che fa per me,” disse il violinista, “un uomo cercavo, non bestie selvagge.”

E cominciò a sonar cosí bene e con tanta dolcezza, che il pover’uomo se ne stava incantato e si sentiva allargare il cuore dalla gioia.

E mentre se ne stava cosí, si avvicinarono il lupo, la volpe e il leprotto ed egli si accorse che tramavano qualcosa.

Allora sollevò l’ascia rilucente e si mise davanti al violinista, come a dire: “Chi gli vuol male si guardi, l’avrà da fare con me.”

Allora le bestie, impaurite, di corsa tornarono nel bosco; ma il violinista per ringraziamento sonò un altro pezzo e poi proseguí la sua strada.

 

Ascoltando, mi viene in mente..

 

 

Questa fiaba, in verità non è una delle più complesse, ma a me sembrava molto interessante ed il suo messaggio attuale.

Il punto è che se desideri veramente qualcosa, sei disposto a tutto per ottenerlo, rischiando qualunque cosa.

Gli animali del bosco, come il boscaiolo, sono così desiderosi di imparare a suonare, che accettano tutto ciò che il violinista chiede loro, si fidano ciecamente nominandolo loro maestro.

Il violinista da parte sua, non desidera veramente un amico, ma desidera una figura specifica, che sta nella sua mente e tutto ciò che si discosta lo usa e lo butta via. Non è disposto a scambiare, a dare, non vuole un amico e alla fine sarà ancora solo.

E’ anche vero che i vari personaggi non cercano a loro volta un amico ma un maestro e lui non lo è, anche se si atteggia tale.

Ecco l’intoppo!

Qui si mostra l’ambivalenza fra ciò che coscientemente persegui e ciò che in realtà desideri, la motivazione inconscia. E’ questa, la motivazione inconscia che poi guida realmente le nostre azioni e ci conduce al quel tipo di strada.

Il violinista dice di volere un amico, ma in realtà lui si presenta attraverso la sua bravura, il suo suono, mostra questo di sé ed è questo ciò che ottiene, ammirazione e proseliti. Non a caso, ringrazia il boscaiolo nell'unico modo che gli è proprio, suonando. Ma non riconoscendo la propria motivazione inconscia, rifiuta ciò che realmente ottiene col suo operato e tutti rimangono a bocca asciutta.

Ancora una volta, si può notare la connotazione della fiaba. Non ci dice che il violinista è cattivo, sbagliato, crudele, o che gli altri personaggi sono allocchi, illusi, ecc., ma semplicemente ci mostra la risultante delle nostre azioni e del nostro volere profondo, in modo semplice e lineare.

E’ incontrovertibile, la fiaba ti lascia lì sospeso, con qualcosa da comprendere e da digerire. Getta dei semi nel tuo mondo interno, che se coltivi germoglieranno, attivano il tuo mondo interno, emotivo e conoscitivo.

Cosa che non avviene con le favole, che istigando un giudizio direzionando così da una parte o dall’atra, senza lasciare la propria risposta al lettore. La favola indottrina.

Ancora, questa narrazione ci ricorda anche che chi sa fare una cosa, non necessariamente la sa insegnare, non necessariamente è una persona affidabile, non necessariamente usa il suo sapere a fin di bene.

E questo a maggior ragione se c’è ambivalenza. Io non credo nella cattiveria umana, credo piuttosto nell’ignoranza delle proprie dinamiche profonde, che producono effetti talvolta dannosi, inaspettati, distruttivi.

E in questo senso, abbiamo visto in altre discussioni, che la ricerca scientifica nel nostro tempo, ne è un chiaro esempio. Non sempre usa a fin di bene, ciò che crea e scopre. Qui, credo invece nel primato del profitto di alcune industrie.

Questi due aspetti che mi balzano alla mente, mi sembrano entrambi assai tipici della nostra società, dove tutto è mercificato, usato, manipolato, gettato via. Non c’è più tempo, né desiderio, né investimento per ciò che è inusuale, inaspettato, diverso, per ciò che non rientra nei nostri schemi e negli schemi dettati da chi detiene il potere in modo evidente o nascosto. Il rapporto fra violinista e i vari personaggi rievoca la relazione fra maestro-discepolo di un tempo, dove il maestro era portatore di saggezza, sapere, insegnamento, ma incarnava anche una figura autorevole e riconosciuta. L’allievo riconosceva il suo ruolo e lo rispettava, senza uscire dai margini, cosa che oggi non esiste più.

Pensiamo al fatto che i genitori sono sempre sul piede di guerra, pronti a denunciare gli insegnanti per qualunque cosa, a difendere a spada tratta, anche a torto, i propri figli. Pensiamo agli atti di violenza e bullismo dei ragazzi nei confronti degli insegnanti, come nei casi di cronaca a noi noti, in cui gli insegnanti sono stati ridicolizzati e ripresi per essere mandati su you tube.

Dall’altra pensiamo agli insegnanti, non sempre così desiderosi di assumere questo ruolo, non sempre rispettosi delle nuove menti in erba, del bisogno dei giovani di figure significative a cui appoggiarsi, a quegli insegnanti che fanno come il nostro strano violinista, negano di mostrarsi per ciò che sono (violinisti), legando su sé stessi, imprigionando, i giovani discenti, che escono dalle proprie aspettative, dal sentiero apparentemente scelto.

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6 aprile 2016 3 06 /04 /aprile /2016 15:34
Rovistando nel Fardello
Rovistando nel
Fardello

 

Laboratorio PsicheSoming

 

Condotto da:

Dott. Sabrina Costantini

      Piergiorgio Deriu

 

Il laboratorio intensivo “Rovistando nel Fardello,

intende frugare nel fardello che ciascuno di noi porta sulla schiena, per discernere cosa ne fa parte e deve essere lasciato andare (sensi del dovere, di colpa, di responsabilità, ansie, paure, formule di educazione, stereotipi comportamentali, ecc.).

 

Il fardello infatti, crea molto spesso una corazza atta a tenere il peso, di cui abbiamo cominciato a caricarci fin dall’infanzia. La corazza fisica, comportamentale ed emotiva è necessaria per sostenere i pesi aggiunti, nel contempo determina un atteggiamento interiore di fatica e sopportazione, che rosicchia l’energia e la serenità.

 

Le emozioni che ne derivano inconsapevolmente e che accompagnano la nostra quotidianità, risultano quindi paura e rabbia nelle sue varie sfaccettature (timori, fobie, risentimento, gelosia, invidia, frustrazione, intolleranza, ecc.).

Le relazioni con sé e con gli altri risultano contraddistinte da sfiducia, atteggiamento di allerta e sospetto. I fardelli infatti nel corso della storia individuale si stratificano, accrescendosi negli anni, attraverso nuove relazioni e contesti diversi.

 

L’obiettivo del laboratorio consiste nell’andare ad aprire quel fardello, discriminare i contenuti e svuotarsi di una o più parti della sovrastruttura, che crea la nostra “gobba” somatica e psicologica.

La postura, l’atteggiamento ed il comportamento, ci rivelano quanti pesi ci siamo sobbarcati nel corso degli anni.

 

Il contesto di lavoro sarà rappresentato dal gruppo: spazio privilegiato dove si incontra l’individualità e la relazionalità. Il gruppo costituisce un ottimo strumento di riflessione, d’espressione di sé, di rispecchiamento negli altri e di strategie di trasformazione in un’ottica circolare d’abbondanza.

 

Si utilizzeranno tecniche yoga, shiatsu, digitopressione, tecniche “energetiche”, bioenergetica, danza terapia, immaginazione guidata, role playing, esercizi a coppie, drammatizzazione, tecniche di scrittura creativa, sculture corporee, ecc.

 

Si consigliano abiti comodi, calzini, una coperta e un cuscino.

Pranzo al sacco in condivisione

Portare un sacco, possibilmente di stoffa, iuta, lino o simili ed un quaderno.

 

Il laboratorio si terrà il giorno14/05/16, dalle ore 9.00 alle ore 18.00, presso DNA Danza, V. Tosco Romagnola Ovest, n. 340, Fornacette-Calcinaia (Pi).

 

Dott. sa Sabrina Costantini:

Psicologa Psicoterapeuta

Cell. 349  83 03 854

sabrina.costantinips@virgilio.it

sabrinacostantinipsicologia.over-blog.it

 

Piergiorgio Deriu:

Istruttore Operatore Shiatsu Istruttore Yoga, Personal Trainer Discipline Bio Naturali

Cell. 338 44 26 466

piergiorgio.deriu@alice.it

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30 marzo 2016 3 30 /03 /marzo /2016 10:54
Perchè proprio quella fiaba?

Perché proprio quella fiaba?

 

 

Quotidianamente utilizzo moltissimo le storie e le fiabe, nella vita personale con le mie figlie, con i genitori durante i seminari, con gli insegnanti, con i pazienti grandi e piccoli e ogni volta, non finisco mai di stupirmi di quanto emerge.

Capita spesso che gli adulti siano resistenti a questo tipo di approccio, che desiderino delle tecniche, delle informazioni più precise, delle robe professionali, da adulti e si sentano un po’ svalutati, nel maneggiare dei contenuti così “infantili”.

Si perde tempo!

Questa la loro sensazione.

Ma che ci dice questa psicologa? Sarà brava? Bho!!!

Bhe, vi assicuro che se ci si lascia andare si scopre un mondo, in queste storie da bambini, una strada mai immaginata.

In fin dei conti sono le storie dei nostri bambini interiori, quelli feriti, arrabbiati, tristi, soli, quelli problematici, iperattivi, ansiosi, quelli smaniosi, creativi, ludici, fantasiosi: i nostri bambini!

Che vorrebbe dire?

Vuol dire che dentro quel bambino si cela la nostra emotività e gli ostacoli al nostro agire, ma anche gli strumenti preziosi per il nostro agire stesso e per la risoluzione dei conflitti.

Nelle fiabe, nei racconti, nei miti, è contenuto il nostro copione o una bella fetta delle nostre decisioni di vita, impostate inconsapevolmente nella prima infanzia. Vediamolo insieme.

Vi citerò solo alcune risposte, ottenute alla domanda:

Perché proprio quella fiaba?

Perché era la tua preferita?

Nina, 29 anni. La fiaba preferita era Piccinino ed il Gigante perché Piccinino riesce a vincere sul Gigante, può fare qualcosa, non è impotente, ce la fa.

Norma 46 anni. La piccola fiammiferaia. In realtà non so se fosse la mia preferita, mia madre continuava a leggerla, perché si divertiva nel vedermi piangere, ogni volta piangevo ….. mi sentivo triste.

Daniela 32 anni. La bella addormentata nel bosco, perché la ragazza si addormenta e non deve più affrontare nulla, deve solo aspettare il suo principe che con un bacio la risveglia e risolve tutto, tutto è cambiato grazie a quel risveglio.

Tina 32 anni. La Bella e la Bestia. Io mi sentivo la bestia, qualcuno di orribile, di inguardabile e spaventoso, ma che con la costanza e lo sforzo, con la gentilezza riesce a farsi amare e a trasformarsi in qualcosa di desiderabile. Ma ero anche la bella, che senza pretese, con pazienza, con modestia, con sopportazione, vede cambiare il suo destino così infausto.

Marica 34 anni. Hänsel e Gretel mi piaceva perché Gretel, grazie all’astuzia e agli stratagemmi, riesce a sconfiggere la strega e a tornare a casa.

Luigi 36 anni. Hänsel e Gretel, non so …. Hänsel era veramente ingegnoso, ne studia una dietro l’altra, pur di tornare a casa.

Luigi 36 anni. Il Piccolo Principe mi affascinava perché ti insegna a coltivare le relazioni, fornisce una sorta di guida alla conoscenza e all’intimità con gli altri.

Gianni 39 anni. Pollicino è grandioso, perché nonostante fosse il più piccolo e insignificante, quasi invisibile, era il più intelligente di tutti, risolve tutti i problemi anche al padre e alla madre.

Questi sono solo alcuni degli esempi, del recupero del bambino che siamo stati.

Molti adulti infatti, faticano a trovare il motivo del legame con la storia del cuore, un po’ come nei bambini piccoli, che amano una storia ma non sanno dirti perché.

Molti adulti, parimenti, non sanno recuperare questa dimensione perché non gli forniscono sufficiente valore, perché non sono abituati a chiedersi perché o perché hanno smarrito il legame con sé stessi. Non sono avvezzi a mentalizzarsi, ad ascoltare la propria voce interiore, a comprendere che ciò che sentono e che fanno hanno un senso, un filo significante,una loro storia, anche se apparentemente ci sembrano stampalati e senza logica.

Gli esempi citati invece, fanno riferimento ad adulti che con un po’ di introspezione, hanno fornito un fondamento alla propria preferenza e al proprio mondo interno.

Avete notato che tutte le motivazioni hanno un elemento in comune?

In tutte (tranne una) si ritrova la speranza, il bambino di allora l’ha scelta perché quella storia gli suggeriva la possibilità di modificare il proprio stato, di poter cambiare, anche se la condizione era in netto svantaggio, magari perché piccolo in un mondo di giganti.

E non è poco, per un bambino ma anche per un adulto, in preda ad un conflitto o ad una grande paura!

Immaginate quel bambino lì, che incoraggiato da quella fiaba, abbia affrontato le sue difficoltà quotidiane con fiducia e coraggio, ottenendo molti risultati positivi, acquistando sempre più fiducia in sé e realizzando la convinzione che la fiaba dice la verità: si può cambiare!

Questa convinzione si autoalimenta, rinforzando comportamenti asserviti, migliorando lo sviluppo di strategie e costruendo una visione di sé ricca e articolata. La collezione di successi, insieme agli insuccessi, permette di giungere all’età adulta, consapevoli che si possono affrontare le cose, che con impegno i risultati arrivano, anche quando ci si sente brutti, incapaci, piccoli, invisibili, non desiderati, ecc.

…. “Tranne una” si riferisce a Norma che sceglie la Piccola Fiammiferaia, che sicuramente non istilla fiducia (non è una fiaba ma una storia di H.C. Andersen) e non è stata scelta da lei, ma dalla madre, che le ha affibbiato questo triste copione, quello di farla divertire con le sue lacrime! Non è la storia che desiderava, ma quella impostale!

Pensate al valore che ha assunto dire questa cosa, ripescare quello che succedeva nell’infanzia, attraverso questa domanda banale si è aperto un mondo nei significati di ciò che siamo ora. La maggior parte delle volte infatti, noi agiamo il nostro copione senza esserne consapevoli, subiamo certi comportamenti, certe frasi, le induzioni relative, senza rendercene minimamente conto. Parlarne, le fa venire alla luce, le scopre e le rende chiare, il primo importante passo per distanziarsene.

Ciò che viene detto nell’espressione della propria preferenza, trapela molti elementi della persona e della sua storia, dei meccanismi di difesa, delle difficoltà, delle vie preferenziali per uscirne. Fate ad esempio attenzione a ciò che dicono Marica e Luigi sulla stessa fiaba. Esprimono la stessa ragione di preferenza, ma mentre Marica lo attribuisce a Gretele, Luigi lo attribuisce al fratellino, identificandosi ciascuno con il personaggio del proprio sesso, definito creativo.

Per la verità, in questa fiaba, il ritorno a casa avviene grazie al connubio delle strategie sia di Hänsel che di Gretel. Vediamo dunque, come ciascun bambino interpreta la stessa narrazione, in base al proprio vissuto, al bisogno, ai conflitti.

La scelta stessa della narrazione, ci suggerisce di quale problema o fase evolutiva si tratti e in quale tipo di soluzione ci si orienti.

Se per esempio chi ha scelto Hänsel e Gretel ci fa pensare alla ricerca di strategie proprie, di risorse mentali ingegnose, La bella addormenta nel Bosco, ci fa pensare ad una posizione maggiormente passiva (dormire, non vedere e non fare), di chi attende la soluzione dall’esterno, di chi si aspetta di essere salvata dal principe azzurro.

A loro volta storie come Pollicino o Piccinino e il gigante, ci suggeriscono un vissuto di grande disparità, oltre misura, fra la condizione di bambino e quella di adulto, nella prima sotria il bimbo è eccezionalmente piccolo, nella seconda l’adulto è eccezionalmente grande. Coloro che hanno scelto queste storie, probabilmente hanno vissuto condizioni di impotenza e sopruso, da parte degli adulti.

Ma nonostante ciò, i piccoli ce la fanno! Che messaggio importante! Non credete?

Nel Piccolo Principe è interessante come la volpe, un animale, guidi l’apprendimento e l’addomesticamento in itinere. Non si tratta di nozioni impartite dall’adulto, ma di una relazione alla pari o quasi, che si costruisce nel tempo e con l’esperienza, che di per sé conduce all’accrescimento e alla relazione.

“Se tu vuoi un amico addomesticami!”…… “Ma gli occhi sono ciechi, bisogna cercare con il cuore” … “Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico e ora è per me unica al mondo.” …..“Ciò che abbellisce il deserto (disse il piccolo principe) è che nasconde un pozzo in qualche luogo” .

Questi semplici stralci della storia del Piccolo Pincipe, ci mostrano la forza di questa narrazione, la sua semplicità, il linguaggio diretto eppure coinvolgente. Si fa capire e parla al lettore (grande o piccolo che sia), come ad un bambino saggio, che sa molte cose col linguaggio del cuore, ma non conosce ancora i giri dell’intellettualità.

La fiaba la Bella e la Bestia poi è una delle più ricche e articolate, vediamo come in questo caso la persona si riconosca in entrambe le parti, le due facce della stessa medaglia, che grazie all’impegno e allo sforzo vanno poi ad incontrarsi sullo stesso piano: i due diventano giovani belli e innamorati l’uno dell’altro, nell’anima e nel corpo.

In questa fiaba sono contenuti tanti temi evolutivi, quali il narcisismo, la valorizzazione dell’immagine, del mondo interno, la trasformazione, la povertà e la ricchezza intesi in senso metaforico, la seduzione, il carico genitoriale, il rapporto fra maschile e femminile, ecc.

Temi, fonte di importante stimolo di riflessione e accrescimento.

Bhe, le storie sanno dire molte cose in così poco tempo ed in modo molto chiaro, diretto e comprensibile a tutti quanti. Perché mai privare i nostri bambini, interni ed esterni, di una siffatta ricchezza?

Allora direi che, anziché continuare con tante parole, lascio spazio a questa storia sufficientemente eloquonte, che ci insegna a vedere le cose per ciò che sono, a tenere a mente tutte le sfaccettature, ma fondamentalmente a viverle e a gustarle per la loro essenza.

Buona Storia!

 

 

Dov’è il gusto?

 

Ecco un altro Koan. Un maestro offrì al suo discepolo un melone.

“Cosa ti sembra?” gli domandò. “Ha gusto?”

“Oh sì, un gusto squisito!” Rispose il discepolo.

Il maestro allora gli pose questa domanda:

“Dov’è il gusto, nel melone o nella lingua?”

Il discepolo riflettè e si addentrò nei meandri di un complesso ragionamento:

“Il sapore deriva dall’interdipendenza, non solo tra il gusto del melone e quello della lingua, ma anche dall’interdipendenza tra ….”

“Stolto! Tre volte stolto!” lo interruppe il maestro, in un impeto d’ira.

“Perché complichi il tuo modo di pensare? Il melone è buono. Basta questo per spiegarne il gusto. La sensazione è buona. Di altro non c’è bisogno”.

(maestro Taïsen Deshimaru)

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