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26 giugno 2013 3 26 /06 /giugno /2013 21:50
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23 giugno 2013 7 23 /06 /giugno /2013 13:55
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17 giugno 2013 1 17 /06 /giugno /2013 13:23

IVG

IVG

IVG Interruzione Volontaria di Gravidanza

In questi giorni, mi sono confrontata con un gruppo di colleghe, una di noi, dopo sue accurate ricerche risultate vane, chiedeva bibliografia sulle IVG.

In effetti, nessuna di noi ha saputo dare una risposta.

Le uniche opere che ci sono venute in mente sono: "Lettere ad un bambino mai nato" di Oriana Fallaci e "La ferita dei non amati" di Schellenbaum Peter.

Ma, entrambe non propriamente pertinenti.

Il primo parla di una sorta di interruzione di gravidanza, dell'ambivalenza di una donna che si trova nella difficile condizione di non voler rinunciare al lavoro e di non sapere ancora se volere o meno questo bambino.

Il secondo, "La ferita dei non amati", non c'entra nulla con l'interruzione di gravidanza, ma parla della condizione originale di non essere amati, che conduce poi alle dinamiche successive di troppo amore e di dipendenza.

Ma il punto è che non vi sono in letteratura, testi specifici sull'argomento.

Perchè?

Ci siamo chieste perchè, ci siamo confrontate sulla condizione della donna, delle sue scelte, della responsabilità, della moralità, del senso di colpa.

Ci siamo dette che ci sono molti figli non voluti che nascono e su cui pesa questa non scelta. Ci sono altri figli che non nascono e forse pesa sulle donne questa scelta.

E' sorprendente quanti tabù esistano ancora nella nostra società.

Mi chiedo quale ne sarà l'origine, se religiosa, morale, etica, chissà!

Di sicuro, pesa sulle donne il compito e la responsabilità di far nascere i figli, che è anche un onore e un diritto. Ma pesa anche la responsabilità e l'abilità legalizzata, ma non del tutto legittimata, di non farli nascere.

Di sicuro, nonostante il gran parlare e il darsi da fare, non c'è molto appoggio alle donne che fanno nascere i bambini e tanto meno a quelle che non li fanno nascere.

Ci si dimentica anche che, se una donna compie questa scelta dell'interruzione di una gravidanza, da sola o meno, comunque non è mai indolore o indenne o cancellabile.

Il peso definitivo è su lei, è lei che ha l'ultima parola, è lei che dice NO!

Ma non lo fa mai a cuor leggero, non lo fa mai senza una qualche domanda sotterranea, vicina o lontana.

Chissà perchè non ci si è posti nell'ottica di aiutare questo passaggio, di accompagnare questa complessa e difficile scelta!

Forse, ancora il giudizio risiede alla base di questa grande mancanza nei confronti delle madri e dei bambini mai nati!

Ringrazio le colleghe per aver stimolato questa riflessione.

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11 giugno 2013 2 11 /06 /giugno /2013 14:01

Quali pregiudizi?

"Non sono guarita, lei non è stata/o una brava/o terapeuta!"

"Non sei migliorata/o, anzi peggiorata/o, cambialo quello psi, non sa fare nulla!"

Ecco altre due affermazioni che possono ricorrere durante o all'inizio della terapia.

Si fondano sul pregiudizio, sulla convinzione che lo psi sia una sorta di mago che risolve tutto, ma non solo, si fonda anche sulla delega e sulla deresponsabilizzazione.

Si va dallo psi e gli si consegna il pacco, si delega di dirigere la propria vita!

Ma vi pare che possa essere davvero così?

Pensate davvero che un'altra persona, competente o meno, possa prendere in mano la vostra vita e dirigerla al posto vostro?

Io credo proprio di no! Per fortuna.

E questo si fonda sul fatto che non ci sono risposte giuste, non ci sono scelte giuste, ma solo scelte giuste per voi, per ciascuno di voi e come tale si devono fondare sul proprio mondo interno, sul proprio sentire e come tale ciascuno di noi deve scegliere in prima persona e prendersi il potere e la responsabilità di sè!

Come vi sentireste, se facesse una cosa solo perchè qualcuno vi dice di farla?

Non è un buon processo di crescita, non credete?

Il cambiamento non può avvenire se la persona in questione, non desidera cambiare e non attua i passi necessari per farlo. Lo psi guarda insieme alla persona, lo aiuta a cambiare prospettiva, a zoommare avanti e indietro, a sentire, guardare, pensare, per scegliere con maggiore consapevolezza. Nessuno può scegliere o fare al posto di.

Nessuno può forzare nessun altro! Non date troppo potere agli altri!

C'è anche da aggiungere che può capitare che una persona in terapia, ad un certo punto sembri peggiorata, più scontrosa, arrabbiata, confusa. Questo è anche naturale, è una tappa del processo, che se portato a termine, conduce ad un rinnovato equilibrio.

All'inizio, far cadere certi veli, mettere mano in certe situazioni, può portare una serie di emozioni e reazioni forti, che hanno poi bisogno di tempo per sedimentare, ma fa parte dello svelamento di sè a sè!

Cambiare psi ha sempre dei risvolti molto negativi e prima di attuare questa scelta, è importante parlare chiaramente delle proprie perplessità, mettersi in gioco fino in fondo, chiedendo ciò che realmente desiderate, esplicitando ciò che non vi piace e non vi corrisponde, offrendo così l'opportunità a voi stessi e all'altro (lo psi in questo caso), di superare la difficoltà ed entrare ad un livello di empatia ancora più grande, di relazione più intima e matura.

Tagliare una relazione terapeutica, lascia sempre dentro di sè il senso del taglio e il dubbio di aver fatto ciò che era importante fare per sè oppure no, il dubbio di essere fuggiti per paura, il dubbio di non aver compreso fino in fondo e mille altre fantasie.

Pregiudizi ..... ancora sugli psicologi ....
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6 giugno 2013 4 06 /06 /giugno /2013 13:47
La richiesta di una mamma

La richiesta di una mamma ….

“Sono una mamma adottiva di due gemelli Thailandesi di 10 anni.

Uno dei due bambini è molto permaloso, si sente spesso preso in giro da suo fratello (il più delle volte senza un motivo valido), anche con suo cugino coetaneo succede la stessa cosa (anche se mio nipote tende sempre a dettare le regole del gioco), quando gioca lui risponde con rabbia e attacchi di pianto perchè crede che gli altri siano contro di lui. Se faccio un complimento a suo fratello si offende perchè non lo faccio anche a lui.

Premetto che è tantissimo legato a me più che al papà, al contrario l'altro figlio è più legato al papà. La sera quando ci rilassiamo sul divano lui vuole stare sempre con me, mi dice tante volte al giorno che mi vuole bene e mi chiede se io glie ne voglio. Premetto che sono una mamma molto affettuosa e coccolona, esterno i miei sentimenti e i miei bambini lo sono con me e mio marito. Ma nello stesso tempo sono severa quando si tratta di regole, scuola.... Per quanto riguarda l'adozione ho sempre parlato con i miei figli liberamente, così come si può parlare con un bambino.
Mi fa molto male vedere il mio bambino che si dispera (come ieri sera) e dice che si sente incompreso, che il fratello non lo difende mai.....

Lui vorrebbe primeggiare, essere un vincente, essere più considerato rispetto al fratello (molto spesso a scuola il fratello è più al centro dell'attenzione che non lui).
Sarei molto felice di ascoltare un suo parere, ho letto una sua risposta ad una mamma che chiedeva un consiglio è ho ritenuto molto valide le sue parole.
Grazie.”

Cara mamma,

mi è apparsa una madre molto affettuosa e attenta.

E’ sempre un dispiacere vedere i propri figli soffrire e non è certo facile riuscire a star loro vicini, come vorremmo. Ma ci proviamo!

Questo è già molto importante. E’ importante che entrambe i suoi figli siano nella sua mente e nel suo investimento.

La sua situazione è anche molto coraggiosa, due figli adottivi e ancor di più appartenenti ad una cultura lontana dalla nostra e ancor di più …. gemelli.

Già non è semplice seguire rispettosamente i figli nel loro percorso di crescita, ma ancora meno quando ci sono tutte queste componenti. Solo per questo siete ammirevoli.

Venendo alla sua domanda specifica, direi che forse l’aspetto che emerge più evidente è la gemellarità. Soprattutto se gemelli identici, quello che capita puntualmente è che essendo uguali fuori, nell’aspetto, i fratelli devono differenziarsi nelle capacità e quindi esiste sempre una sorta di sforzo per trovare la propria individualità e la propria diversità.

Due persone identiche o comunque nate nello stesso momento, legate da un destino inscindibile, unico e inseparabile, sentono il bisogno di capire chi sono e più che mai cercano qualunque elemento che fondi la loro identità.

Anche in questo caso, uno dei due emerge, per bravura, coraggio, maschilità, ecc. Questo non vuol dire che sia realmente più capace, più coraggioso, ma questo è ciò che appare a tutti, ma soprattutto che crede il figlio più timido.

Anche la preferenza per l’uno o l’altro genitore, sembra un tentativo di percorrere una strada esclusiva, per trovare la propria via.

Tutto questo per dire che i suoi figli, stanno tentando un normale processo di individuazione, quello che crea sofferenza è il fatto che questi due bambini lo stanno facendo su una polarità positivo-negativo, cioè uno è bravo, quindi ok, l’altro è timido, insicuro, quindi ko.

Quello che può fare è cercare di osservare meglio questi due figli e trovare delle qualità in entrambe, degli interessi e capacità che li distinguano e coltivarli in entrambe, in modo che non vi siano differenze di valore, ma solo di ambito.

Voglio dire è importanti aiutarli a vedersi per ciò che sono, è necessario non vestirli uguali, né proporre gli stessi sport o interessi. E’ fondamentale, soprattutto per il più timido, far capire che non è meno capace o coraggioso, è solo diverso ed esprime le proprie capacità in un altro modo o non le mostra, ma ci sono.

Questo figlio, mi verrebbe da dire secondo, come se fosse secondo in termini temporali, di “apparenza” e d’importanza, è molto sensibile ma soprattutto insicuro. Forse lui si sente secondo e crede che gli altri lo vivano così.

Non sarà un processo immediato ma sarà necessario tempo, però se lo accompagna alla scoperta di sé, delle sue diversità-qualità, riuscirà anche lui a primeggiare e a vedersi per ciò che è.

Ma …. forse una marcia in più, può trovarla attraverso la rabbia e l’identificazione col maschile.

Voglio dire che reagisce alle frustrazioni piangendo e lamentandosi, forse è il caso che lo stimoli ad arrabbiarsi e a fare le sue rimostranze al cugino, al fratello e a chiunque, a torto o a ragione, non importa. Anche lui può alzare la voce e dire la sua! Se lo fa, non succederà nulla.

In questo, può essergli d’aiuto una relazione più stretta col padre. Per avvicinarlo al padre, potete farlo con due processi paralleli, da una parte suo marito può “sedurlo” e attirarlo a sé attraverso un’attività che possa coinvolgerlo. E’ essenziale che i due passino un po’ di tempo da soli. Poi in seconda battuta può essere utile che passino del tempo al maschile in tre.

Contemporaneamente, lei può rendere libero il padre, mi passi l’espressione, impegnando l’altro figlio (quello in primo piano) con lei, in attività che coinvolgano voi due da soli.

Infine, direi che organizzare qualcosa tutti insieme, viaggi, giochi, ecc., in cui ciascuno di voi ha un “ruolo”, ma soprattutto ciascuno di loro, ad es. uno dei due figli avrà il compito di fare una cosa in cui primeggia, l’altro avrà un altro ruolo, ecc.

E poi forse, talvolta è anche necessario che voi genitori vi sottraiate e lasciate che loro figli se la vedano da soli, mandando il messaggio che siete sicuri che troveranno la soluzione ai loro problemi!

Non so se sono riuscita a renderle chiaro ciò che sto pensando, una sorta di piano evolutivo verso l’assertività, la crescita e l’autodeterminazione.

Il figlio più sfiduciato avrà modo di essere più deciso e determinato, quello forte avrà modo di scoprire la sua parte sensibile e ciascuno di voi genitori, si riapproprierà della relazione con entrambe i figli.

Ci vuole investimento e fiducia, ma vedrà che le cose piano piano si sistemano.

E’ facile che nei momenti di crisi, questo figlio ritorni un po’ alle vecchie modalità, non si scoraggi, è solo un modo e un’opportunità per rinforzare i progressi fatti.

Un grande in bocca al lupo a voi tutti!

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4 giugno 2013 2 04 /06 /giugno /2013 14:38
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1 giugno 2013 6 01 /06 /giugno /2013 07:23

Cortometraggio di Paolo Genovese e Luca Miniero

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29 maggio 2013 3 29 /05 /maggio /2013 08:44
Pregiudizi sugli Ps....

Ancora della serie "Come hai scelto il tuo psi?"

"Semplice ho fatto il colloquio con tutti quelli che facevano il primo colloquio gratuito!"

"Un mio amico ha chiesto a tutti gli psi il prezzo della seduta ed è andato da quello più economico! Tanto son tutti ladri!"


In verità la scelta non è così banale, nè così semplice.

Io non offro il primo colloquio gratuito per un motivo ben chiaro, io sono lì a lavorare e lo faccio in modo professionale e anche un semplice colloquio di consulenza, fosse anche l'unico, è un lavoro importante, offre comunque una significativa possibilità di scambio, comprensione, crescita.

Magari la persona decide di non continuare il percorso, magari non con me, ma se la consulenza è svolta bene, può essere utile perchè la persona comprende perchè non vuole continuare, quali le resistenze, quali le motivazioni fondate, quali le necessità e le risorse, di cosa ha bisogna e cosa desidera.

Tutto ciò, mi pare già un'universo!

Svolgere molti primi colloqui può destabilizzare e francamente, a cosa serve?

Se una persona non trova subito il terapeuta con cui si trova bene, capisco che continui a cercare, è giusto, ma continuare a fare colloqui è come continuare a fuggire, passare da una città all'altra senza fermarsi mai e godere del luogo stesso. Se non ci si ferma, non si può comprendere davvero, non si può sentire.

Il criterio economico (il prezzo più basso) poi non è così semplice neanche quello. Comprendo che visto i tempi, tutti quanti noi vogliamo risparmiare, ma personalmente quando compro un pacco di biscotti aspettandomi un certo sapore e quando vado poi a verificare che ciò che mangio non corrisponde per gusto, qualità, allora preferisco non mangiarne per niente o spendere di più e se proprio non ce la faccio, mangiarne meno.

Per una cosa così importante come la mia cura, il discorso si accresce ancora più in questa direzione.

L'economicità nel nostro lavoro,deriva da molti fattori, dall'età del collega, dall'esperienza, dalla formazione, dalla spesa che il professionista sostiene in senso generale rispetto all'attività, da una scelta personale, ecc.

In linea di massima però, teniamo conto che se un professionista ha delle spese concrete, come quelle base di uno studio, se poi vi aggiungiamo le spese per accrescere e mantenere la professionalità, come supervisione, aggiornamenti, la formazione continua, ecc., allora capite che la qualità non può che avere un certo prezzo, tenendo conto che poi ogni caso è un caso a sè, in linea generale funziona così.

E' anche giusto e doveroso che il professionista guadagni (badate bene ho detto guadagni, non straguadagni) dalla propria attività, non può andarci in rimessa, altrimenti è volontariato, ma allora è un'altra scelta!

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20 maggio 2013 1 20 /05 /maggio /2013 09:52

MIP 2013

  • E’ alla 6ª edizione.
  • Coinvolge più di 1000 tra psicologi e psicoterapeuti.
  • Ha luogo in 70 province italiane e numerosissimi comuni della penisola.
  • Più di 1000 eventi aperti al pubblico gratuitamente, tra incontri informativi e a tema, seminari, conferenze e gruppi esperienziali.
  • E, come sempre, un colloquio gratuito con lo psicologo del proprio quartiere a chiunque ne farà richiesta.

Iniziative ancora attive sulla provincia di Pisa:

23 maggio presso la Libreria Feltrinelli, Corso Italia, Pisa.

"La Psiche, il Corpo, gli Altri, la Salute."

Referente Provinciale di Pisa:

Dr.ssa Elisa Tonelli

Tel.: 3285413507 ; e-mail: elisatonelli.psicologia@gmail.com

Referente online Dott.sa Sabrina Costantini cell. 3498303854, sabrina.costantini1@tin.it

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16 maggio 2013 4 16 /05 /maggio /2013 16:11

PREGIUDIZI SUGLI PSICOLOGI E .....

LA PSICOLOGIA

"Ora mi mandano dagli psicologi, come se loro non avessero bisogno!"

"Se ci va lui/lei, ci vado anche io!"

Questa convinzioni, demandano agli altri il problema esprimendo un bisogno di deresponsabilizzazione e una paura del giudizio.

Ciascuno deve prendersi in mano la responsabilità di sè e dei propri bisogni, difficoltà e risorse.

Andare in prima persona dallo psi non vuol dire che altri potrebbero non giovarne, ciascuno "fa per sè", per stare bene lui, poi se anche altri nella propria cerchia fanno la stessa scelta, tanto meglio, questo renderà tutto più semplice, ma non si può demandare la propria vita e la propria scelta agli altri.

"Come fa a sapere come mi sento, se non le è mai capitata una cosa simile"

"Che ne sa lei, nella sua vita perfetta?"

Innanzitutto, non è necessario vivere esattamente tutte le situazioni delle persone che ci stanno di fronte, per poter comprendere, altrimenti solo i matusa potrebbero fare questo mestiere!

Il dolore è dolore, la paura è paura, la rabbia è rabbia, la gioia è gioa .... qualunque ne sia l'origine. Perchè al di là della situazione specifica, quello che ci turba, ci destabilizza è l'emozione che ne viene scatenata. Non a caso, di fronte alla stessa situazione, persone diverse vivono emozioni diverse. Quindi non è la situazione in sè, bensì il vissuto sottostante e l'emozione corrispondente.

In considerazione di ciò, non è necessario nè sano aver necessariamente aver sperimentato tutto, pensiamo a delle condotte estreme come la droga, la prostituzione, l'omicidio, ecc. Sono estremi, ma ci forniscono il senso della cosa.

"Una vita perfetta" Direi che nessuno ha una vita perfetta, lo psi deve o dovrebbe avere una vita in sintonia con sè, che non significa giusta o perfetta, ma che lo psi si impegna con sè, prima che con gli altri a vivere con consapevolezza, con integrazione e con un senso. Ciò non comporta l'assenza degli errori, ma il vivere appieno, compreso con gli errori e con la presenza negli errori e non.

Pregiudizi sugli psicologi
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