“Il marito della parrucchiera”
Sabrina Costantini
Un film lieve e denso nello stesso tempo, che attraverso
un clima emotivo leggiadro, ondeggiante fra realtà e sogno, mostra una condizione umana, intrapsichica e intersoggettiva.
La realtà del destino del desiderio.
Il viaggio del desiderio dall’infanzia all’età adulta.
La trasformazione di un sogno in realtà, tale e quale si prefigura negli occhi di un bambino.
Lecont ci accompagna nell’autonarrazione silente,
confidenziale e intima, grazie alla quale, il protagonista ci svela il suo mondo.
Fin da piccolo
Antoine, amava crogiolarsi nella sensualità dei movimenti pelvici delle danze orientali e nella sinuosità della parrucchiera alsaziana, da cui si recava assiduamente per rinnovare il taglio. Una
parrucchiera dai rossi capelli, pelle di porcellana, curve generose. Amava e gustava ogni gesto, le carezze mancate, le sforbiciate e gli odori intensi di lei, “il profumo d’amore che emanava dal
suo corpo”.
Aveva trovato nella
ritualità del taglio, quella pienezza che coinvolgeva tutti i sensi, quello stato che, inebriando sospende due metri da terra.
Fino al suicidio di
lei: un taglio definitivo. Non per Antoine però!
Ecco il suo grande progetto di vita: sposare una
parrucchiera! Confondendo la prestazione della professionista con il calore umano, ancor più con quello sensuale e femminile, coltiva questo progetto sotto la spinta infantile onnipotente del:
basta desiderare fortemente qualcosa, perché si avveri. Se non si avvera, significa che non l’hai voluto abbastanza! Non c’è sogno irrealizzabile. Spinta derivata direttamente, dall’insegnamento
paterno.
In effetti, ormai adulto, incontra Matilde, una
parrucchiera a cui chiede “la mano”, già al primo taglio. Ed è esattamente ciò che si attaglia al suo desiderio. Una parrucchiera sensuale, che già al primo contatto gioca ad alimentare seduzione
e desiderio. Lo lascia desiderare, attendere e al secondo taglio, acconsente a sposarlo.
Il padre si rifiuta di accettare questo desiderio
d’infanzia realizzato e né lui né la moglie si fanno vivi al matrimonio.
Inizia così la loro “vita vera, un battello
immobile”. In uno spazio senza tempo si sposano e trascorrono la vita diurna nel negozio di lei, fra un cliente e l’altro, la vita notturna,
nell’appartamento soprastante il negozio. Ma non c’è che breve traccia della notte, in realtà la giornata nel negozio è uno spazio pubblico e privato, reale e onirico, diurno e notturno
contemporaneamente. L’unica notte che trova spazio nella rappresentazione è un momento di trasgressione, d’uscita dalla realtà, attraverso lo stordimento da lozioni e profumi, ingeriti come
alcool.
Antoine, ama Matilde per il desiderio ed il piacere
provati, nei confronti dell’altra parrucchiera. A sua volta con questa, spostava l’origine del desiderio, attribuendo i continui tagli, al volere di un’altra donna: la madre.
Madre che, investiva su di lui in modo parziale,
acchitando le sue parti intime, con odiosissimi costumi fatti a mano, irritanti da indossare e anacronistici (arricchiti di pon pon-ciliegia). Insegnandogli indirettamente, “l’importanza dei suoi
genitali”!
Ogni cosa non è mai al suo posto, ogni aspetto è oggetto
d’investimento parziale o proiezione su altri fronti. Non ci sono confini, non c’è distinzione, non c’è esame di realtà.
In un clima di sogno, irrealistico ed ovattato, la
coppia permette ai clienti, di entrare ed uscire nella loro vita, come fossero brevi intermezzi. Lui passa il tempo a compilare cruciverba, a guardarla e a godere. Del resto il padre gli ha
insegnato che le donne sono come i cruciverba, “più ti resistono e meglio è quando cedono.” “Lo capirai quando sarai grande!”.
Lei legge rotocalchi, lo seduce, lo invita a terminare
cruciverba, taglia capelli e si fa amare. Matilde appare leggera e leggiadra, una figura delicata, piacevole ma inconsistente. Non porta dietro, niente del passato, non ha conservato alcuna foto
di sé. Non mostra, del proprio mondo interno, che qualche episodica angoscia.
E’ una vita a due senza condivisione. La presenza di
altri, viene da loro vissuta come segno di sgretolamento della coppia. Assistiamo infatti, ad un’unica uscita di cortesia, nei confronti dell’ex proprietario del negozio, ormai ospite in un
ospizio, in attesa di morire.
Ogni elemento che sconfini dalla diade rintanata nel
negozio, sembra produrre dileguamento, angoscia, perdita.
Nella sua sconfinata beatitudine, lui non si accorge
della profonda angoscia della moglie. L’angoscia di sempre, di venir dimenticata, di invecchiare, di non essere più al centro del desiderio, di perdere la lucentezza della propria immagine, su
cui ha investito una professione e la vita intera.
Infatti,
seguendo il copione dell’altra, Matilde si suicida.
Malgrado ciò Antoine, non riesce che ad impersonare il
ruolo di marito della parrucchiera e a tenere in piedi il proprio sogno. Continua a compilare cruciverba, accoglie clienti ignari, intrattenendoli con danze orientali, sussurrando “fra un po’ la
parrucchiera arriva”.
Come se quella danza funzionasse come colpo di spugna su
ogni evento, pronto a cancellare dispiaceri e malumori.
Mostra di non riuscire a lasciare niente del passato,
porta dietro tutto, in modo palese e uguale a se stesso. La sua testa “è ingombra di pensieri ingombranti”.
Evidenzia così l’incapacità di elaborare, evolvere e
sublimare il desiderio. I sogni, in questo caso, non rappresentano spinte alle realizzazione e crescita interna, ma rimangono puri progetti da concretizzare. L’immagine di sé infatti, sembra
confinata al desiderio e al sogno. Non si vede in altro modo se non come oggetto parziale: il marito della parrucchiera. Un ruolo disegnato sull’immagine dell’altra.
Del resto entrambe i genitori, gli hanno fornito
insegnamenti parziali e fini a se stessi, come mere procedure o credenze, rimaste immutabili nel tempo. Gli passano un’educazione un po’ “didascalica” e rigida, che non trova integrazione e forza
nell’insieme della persona, nelle varie fasi di crescita. Questa realtà concreta, povera di nutrimento emotivo, porta Antoine a cercarne un surrogato: il contatto con una parrucchiera, al momento
del taglio! E’ disposto a perdere qualcosa di sé, per ricavarne contatto, calore e desiderio.
Separazione e taglio, che ricordano le iniziazioni
rituali (alla vita, alla morte, alla pubertà, ecc.), di molte tribù. Come se solo attraverso di esso, il marito trovasse diritto alla vita e al vivere: il suo scopo di vita appunto.
Entrambe i coniugi inseguono il bisogno incolmabile di
essere amati, ma non riescono a coltivarlo e crescerlo. Ciascuno vive nel proprio sogno, proiettato nell’altro, restando soli con le proprie illusioni e angosce. In primis Antoine, che non si
accorge dell’incrinatura del loro vivere. Interagisce con risposte da “definizione”, generalizzando superficialmente. C’è solo piacere e godimento, rifiuto e fuga, negazione e diniego della
realtà, anche a costo di trapassare la morte.
Il vago sapore erotico del film, nasconde sotto una
facciata leggera e piacevole, una fatuità, un’inconsistenza dell’essere e una desolante solitudine dell’anima, mai pienamente espressa e condivisa, se non esibita nei gesti più estremi, come il
suicidio. Una solitudine che non trova le parole per essere espressa e lenita, trasformandosi appunto in angoscia distruttiva.
Lecont mostra sapientemente e argutamente ciò che capita
al desiderio primitivo, non elaborato (la realtà del protagonista scissa dalla realtà degli umani e delle cose), al corpo separato dall’immagine e dal sentire, al pensiero sconnesso da tutto il
resto.
Mostra anche ciò che capita al desiderio sublimato, al
corpo che procede all’unisono col sentire e il pensare: il risultato che ne consegue, è la creazione di un film come questo, che lascia il segno, senza giudizio né rammarico.
Regista: Patrice Leconte
Produzione: Francia, 1990
Protagonisti Principali: Anna Galiena, Jean Rochefort
Durata: 82’