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25 febbraio 2011 5 25 /02 /febbraio /2011 12:19

Da Cuore a Creatività

Sabrina Costantini

 

 

 

 

Da cuore a creatività ………….

Da qualche anno si parla di intelligenza emotiva, intelligenza del cuore, ecc. (Greenspan, 1997).

     Si è compreso che l’intelligenza non è quella misurata dal QI, non è la capacità di risolvere quesiti logici e matematici, tanto meno esercizi di seriazione e insiemistica. L’intelligenza, non è la ragione.

     L’intelligenza è creatività, creazione. Si sviluppa e trova terreno fertile nella relazione: separazione, scambio, amore.

     Il bambino impara il linguaggio, un contenitore condivisibile che traduce il suo mondo interno, perché chi lo “nutre” gli fornisce le parole, per chiamare ciò che vive. Il bambino impara a camminare perché si vedono i suoi primi passi e lo si lascia provare: la caduta, l’arrampicata, la fatica di rialzarsi e poi di nuovo un passo, l’orientamento, l’equilibrio, l’entusiasmo e la sorpresa di un mondo che appare, non più così grande e inaccessibile. “Il mondo è la sua ostrica” (M. Mahler). Una scoperta meravigliosa, un’esplosione di gioia e forza!

     Il bambino vive e sente la propria identità perché chi lo ama, accoglie i suoi passi con paura, sorpresa, gioia, fiducia. Un mondo espressivo, espresso con immagini proprie e particolari, congruente con il proprio mondo affettivo.

     Con lo stesso nutrimento, il bambino capisce la realtà delle cose, produttrice di frustrazione. Capisce di poter tollerare la frustrazione e andare oltre, modificando la realtà interna: da frustrazione a spinta, sotto forma di desiderio, domanda, curiosità, ricerca, sperimentazione.

     Accompagnarlo nella crescita, nello sviluppo e nella scoperta comporta, non negare la realtà delle cose, non presentargli un mondo fantastico e una realtà umana onnipotente, che dissimula il terrore del dolore e della propria fragilità. Accompagnarlo significa vivere con lui, accanto a lui, consapevoli della sua capacità di sentire, intuire, amare, conoscere, tollerare.

     Ciò che ancora manca al bambino, è la consapevolezza della propria forza e della propria realtà interna. In questo, ha bisogno di sostegno e fiducia.

     Di fronte al suo sentire “un bambino viene ucciso” ogni volta in cui si nega questa realtà. Si produce negazione e annullamento, ogni attimo in cui si mette a tacere il suo dolore con un sorriso che vieta alle lacrime di scorrere fra grida e urla, che nega al contempo la realtà delle cose e dell’umano: “non è successo nulla ….. va tutto bene …… non stiamo litigando …… non c’è nulla di cui avere paura ……. il nonno non è morto ….”

     Il bambino è confuso, disorientato, è solo.

     Il mondo interno è deturpato della forza emotiva, fondamentale, perché fonte di conflitto, elaborazione e soluzione, quindi creazione.

     Ancora negazione quando, la risposta attraversa un piano parallelo e insensato, non appartiene né pertiene la domanda: una caramella per distogliere dalla paura, il lupo nero per impedire che la curiosità vada in cerca dei suoi frutti, l’anaffettività per impedire che le emozioni lo rendano fragile e lo mettano a nudo, di fronte al mondo.

     Negazione e annullamento che esalta il dovere, le regole, la ”sapienza inaccessibile degli adulti”, la mente, la ragione, il controllo e la frustrazione insensata. Offusca la sapienza del bambino, crea incertezza, un narcisismo fragile, mai sazio. In questo modo, crescerà un bambino con un corpo fantasma, terrorizzato dalle emozioni e dai sentiti del corpo, arato nei confini delle buone maniere e dell’educazione. Fantasia e desiderio saranno terre proibite.

     Chi sono questi genitori?

     Sono genitori che per amore si sentono in dovere di proteggerli, di disilludere le fantasie e aspirazioni, con lo scopo di anticiparli e prepararli ad un mondo “valle di lacrime”.

     Oppure all’inverso, tengono i figli il più lontano possibile da ogni sofferenza, per rimandare loro, l’impatto con la durezza della realtà.

      Si tratta di umani, terrorizzati da sé stessi, da ciò che può sbocciare in ogni parte del proprio sentire che non rientra in schemi, in cose da fare e raccontare.

     Come ben ha descritto Lowen (1982), la frustrazione precoce e ripetuta, blocca la richiesta del bisogno e di conseguenza congela il desiderio. In questo senso, la mancanza di un adeguato accompagnamento nel dolore e nel piacere, blocca la curiosità, la ricerca, la vitalità, il desiderio di capire e conoscere.

     Accompagnare significa amare nella completezza, vivere con- sé stessi e con l’altro, senza il bisogno di sapere già, di definire, di saper fare. Amare significa stare con, nella separazione e nella differenza.

     Ha inizio nella “casa materna”. La madre “sana” è consapevole che, il sangue del suo sangue è già separato e diverso: la nascita come atto ostetrico, ne è solo prodotto finale e dimostrativo. Il bambino è già separato e diverso, nel momento in cui origina. Il patrimonio genetico donato, non produce uguaglianza.

     Il bambino nasce con una sapienza propria, con un viaggio di trasformazione, vita e vitalità. Amarlo significa credere in questo, contraccambiando la sua fiducia di nutrimento, sapienza, sentito, fornendo un vocabolario relazionale e gli elementi espressivi della sua ricchezza. Mostrando una sapienza costruita nella ricerca, nel desiderio, nell’incertezza e nell’errore, lontana dall’onnipotenza, onniscienza e onnipresenza.

     Qualche anno fa, Cristian (3 anni) ed io abbiamo inventato il gioco del pescatore: un pescatore, un pesce, la pesca. Ogni volta lo stesso gioco ripetuto, eppure mai uguale. Pur nella richiesta di ripetizione, il bambino non cerca solo l’identità delle cose, ma anche la certezza della presenza e amore dell’altro nel divenire. Chiede: ci sei anche se oggi sono diverso da ieri? Anche se ho meno bisogno di te? Anche se cammino da solo? Anche se vado a scuola? Anche se amo altre persone? ……. Mi ami comunque?

     La certezza della presenza affettiva dell’altro, gli fornisce la libertà di variare questi tre elementi, in tanti infiniti creativi: a volte ero io il pescatore a volte lui, i pesci erano sempre diversi, navigavano in acque nuove, il pesce a volte era trainato con un carretto, a volte pulito e mangiato …………. Ad ogni gesto, un’immagine e un sentito diverso.

     Cristian sa bene che quella non è la realtà materiale delle cose, che stiamo giocando, stiamo facendo “finta che”, ma il piacere di qualcuno che crede al suo sogno e vuol giocarlo, lo nutre di creatività, possibilità e fantasia.

     E i bambini nella loro profonda sapienza, per non morire indagano alla ricerca di possibili prove d’adozione. “Forse è per questo che sono diverso, che non sono capito, che non sono visto, che non sono amato”. Sono stato adottato!

     E nella creazione di un proprio romanzo familiare, vivono nella speranza che un giorno la vera famiglia venga a riprenderselo.

     Non a caso la fiaba è il più grande gesto d’amore verso un bambino (Bettelheim). La fiaba rappresenta il mondo interno del bambino, con tutte le perplessità e angosce, nel contempo propone una strada percorribile, in visione della crescita. Offre una soluzione al mondo interno.

     Le fiabe accompagnano il bambino in tutte le fasi evolutive più critiche, fornendo rassicurazioni e la convinzione che se ne può uscire. La fantasia infatti, è molto utile per gestire le angosce interne, permettendo poi di tornare alla realtà concreta. Il bambino le ascolta “come se” ci credesse, ma sa bene che non sono la realtà, rappresentano però la sua realtà emotiva.

     Le fiabe del cuore in realtà, accompagneranno tutta la vita, suggerendo inconsciamente una possibilità risolutiva dei conflitti interni. In questo senso la soluzione di problemi non è prodotto da una capacità meccanica, ma dalla possibilità di far ricorso alla fantasia, all’osservazione allargata, alla fiducia di poter trovare una soluzione, proprio attraverso un percorso che attraversa il mondo degli inferi (inconscio), per poter risalire alla luce della coscienza e concretezza.

     Del resto, non a caso Winnicott attribuiva tanta importanza al mondo transizionale, a questo spaccato emotivo-fantastico, unico regno sotto il controllo totale del bambino, trampolino di lancio per l’accettazione di limitazioni e frustrazioni, nonché semenzaio di curiosità e intelligenza.

     I bambini che hanno avuto chi ha giocato con lui al “come se”, che hanno ricevuto delle fiabe, si trasformeranno in adulti che stando in relazione, vedono la realtà e riescono ancora a “giocare al come se”, per il piacere dello scambio creativo. Sapranno ascoltare, senza fretta di mettersi al centro, lasciando lo spazio per l’altro e per tutto ciò che sarà comunicato.

     Avranno molto chiara la visione della realtà, separata dalla fantasia, a cui sapranno far ricorso come risorsa.

     Un “bambino ucciso” non potrà che giocare da solo, alla “normalità adulta”, in un’alternanza di ruoli, padrone e suddito delle regole. “Uccideranno” i bambini e sono essi stessi bambini massacrati. Trasformatisi in un muro di gomma contro cui far rimbarlzare gli altri, di cui rifiutano ogni calore e messaggio, nella spinta onnipotente, che fa dimenticare il proprio dolore.

     Sono quegli umani che Schellembaum definisce “non amati”, coloro che nell’infanzia e nell’adolescenza, hanno avuto un’esperienza traumatica con l’amore.

     Essere amati è doloroso per i bambini uccisi, perché resuscita il bambino ancora vivo sotto le macerie e con esso il dolore, verso chi lo ha sepolto. Credere e accettare l’amore dell’altro anticipa l’angoscia della ripetizione, di una nuova uccisione. Mostrando cecità e paura nella possibilità di cambiamento. Farsi amare è concesso solo a chi inizia ad amarsi e a curarsi le ferite, credendo nella propria capacità di guarigione e nelle capacità “terapeutiche” di chi cura insieme.

     Colui che ama, pur esponendosi al doloroso rifiuto dell’altro, si concede la certezza del proprio amare, della propria verità, calore, umanità, che sa scavare e intuire dove ancora il bambino giace, urlante e dolorante.

     Far emergere il bambino dalle macerie per farlo vivere, significa anche trovare una soluzione creativa alla rabbia e al dolore. Chiede di sottrarsi all’identificazione-sottomissione genitore-istituzione, soluzione che non può cedere neppure all’uccisione-negazione-annullamento: ripetizione di quanto subito.

     Creatività e cuore sono uniti da un filo indissolubile. L’umano creativo e sano gioca la relazione, creando e accogliendo nuovi passaggi, proposte, colori, sulla scia del sentito mai identico. Andamento che ha la stessa cadenza dei primi passi, perché creare contiene il nuovo e la scoperta dei primi passi, della caduta e della fiducia di riprovare.

     Credere e affidarsi al pensiero, associato al sentire e al corpo, significa trovare risposte adattive e creative. E’ una prova di vita e di intelligenza. E’ quella sensazione illuminante dell’insight, che improvvisamente ci presenta la risposta, grazie al ristabilirsi di un ordine, dove ogni cosa (pensieri, emozioni, sentiti) assume il proprio posto e funzione.

     Trasformazione che possiede un suo ritmo, che non può essere controllato, ma solo vissuto e compreso, come il viaggio in un corso d’acqua, opporsi al quale comporta l’illusione dell’impossibile controcorrente, che conduce al rimanere fermi, per poi annegare.

     Talvolta si incontrano abili nuotatori che hanno appreso nelle migliori scuole la tecnica, nascondono così la paura della propria certezza dietro lo stile ineccepibile, la potenza muscolare, l’uso della razionalità più sofisticata. Questi abili nuotatori vincono l’elogio dei normali nuotatori, nutrendo il loro narcisismo terrorizzato e terrorizzante. Talvolta questi abili atleti sono inteneriti da chi nuota goffamente, per non affogare, arrivando a concedere la loro tecnica salvifica. Nuotatori che incontriamo in ogni fiume, in ogni biblioteca, in ogni parte della storia ……

     La nostra epoca, più di ogni altra è improntata e produttrice di narcisismo, impedendo così una relazionalità e integrità sana. Favorisce l’immagine e la prestazione quantificabile, a discapito dell’essere (Lowen, 1985).

     Le istituzioni-stagni negano la “gravidanza” e la creazione, relegando a sistemi skinner-box, dove le persone ottengono bollini premio attraverso la sequenza giusta, sempre identica e rassicurante: “ti voglio bene, ma devi fare il bravo”: l’ultima maceria che cade sul bambino. Circo, che ammaestra cani ad andare in bicicletta, portare abiti umani e far finta che questo sia possibile.

     Il caos e l’assenza di confini, regnano sovrani!

     Non c’è calore dalla vicinanza di chi nega il vissuto, la realtà, dell’altro e non ascolta le sue parole. E’ preferibile il silenzio, diretto a chi lo sa ascoltare. E’ una realtà dolorosa: esseri umani irrigiditi dal controllo e in fuga da sé stessi.

     Ricominciamo a raccontare fiabe ai nostri bambini, a parlare di emozioni e a vivere emozioni con loro. Permettiamoci di essere con loro, dando agio a quella “zona di sviluppo prossimale” (Vygotskij), che rappresenta il più ricco livello di intelligenza e creatività. Favoriamo il possibile, il vuoto, come contenitore di immagini danzanti. Restituiamo quindi calore e colore all’intelligenza del bambino, che fornisce anche pienezza al nostro essere.

     E’ un peccato che gli umani perdano la capacità di giocare come scambio creativo.

Il gioco degli adulti normali assume troppo spesso le connotazioni date da Berne al “gioco”, ha qualità ulteriori e un pagamento.

     Gli adulti normalizzati, perdono la capacità del bambino di stare in relazione nel qui e ora, con fiducia, ascolto, coraggio, semplicità e lealtà a sé. Molti umani hanno ferite profonde: vogliono controllare e vincere. L’obiettivo fa perdere il piacere di stare, essere.

     La risposta creativa viene sempre più scambiata per efficienza e magnificenza, quantità di prestazione e prestigio.

     E’ auspicabile allora, seminare ogni giorno “come se” da bambini, con la consapevolezza e la forza dell’esperienza.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

     Berne E. (1964). A che gioco giochiamo. Bompiani.

     Bettelheim B. (1977). Il mondo incantato. Feltrinelli.

     Greenspan S.I. (1997). L’intelligenza del cuore. Oscar Mondatori.

     Lowen A. (1982). Paura di vivere. Astrolabio.

     Lowen A. (1985). Il narcisismo. L’identità rinnegata. Feltrinelli.

     Mahler M., In Greenberg J.R., Mitchell S.A. (1986). Le relazioni oggettuali nella relazioni psicoanalitica. Mulino, pp. 269-300.

     Schellembaum P. (1995). La ferita dei non amati. Demetra.

     Vygotskij L. In Miller P. H. (1987). Teorie dello sviluppo psicologico. Il Mulino.

     Winnicott D.W. (1968). La famiglia e lo sviluppo dell’individuo. Armando editore.

             

     

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